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Cosa ci sarà di tanto appetibile nella Serbia che bombardammo così volentieri nel 1999? Materie prime, petrolio, uranio?
Cosa rende tanto vogliosi i nostri grandi imprenditori di spostare macchinari e scarabattole ed andare a produrre la loro paccottiglia con le ruote o senza nei Balcani, togliendo il pane di bocca alle operaie e agli operai italiani?
Manodopera che si acconteterà (per quanto ancora?) di meno di 400 euro al mese.
Aaaaahhh, ecco.
Avendo letto il testo dell’accordo su Pomigliano d’Arco, dico che le condizioni non sono poi così malvagie, suvvia. Otto ore di lavoro filate sul ritmo della Polacca (l’ultima mezz’ora serve per la ristorazione ma è retribuita, eccheccà) in uno stabilimento abituato a ritmi circadiani mediterranei posson bastare. Certo senza coca sarà dura ma per l’indennità sniffata, per la famosa Pista di Stakhanov, ci vorranno ancora molti anni di lotte operaie.

No, no, poteva andare peggio. Potevano chiedere agli operai di rinunciare anche all’ultima mezz’ora. Non lo sapete che i padroni, loro, lavorano anche quattordici ore di fila senza sentire né fame né sete né fatica? Non so come se la caverebbero con l’antidoping ma non sottilizziamo.

Mi rimane il dubbio su come si regoleranno con le necessità fisiologiche dei lavoratori durante le famose otto ore continuate. Va bene che non mangiano ma una pisciatina, secondo me, ogni tanto scappa lo stesso.
Suggerirei l’uso di cateteri e sacchettini tipo quelli degli astronauti. Altrimenti a qualcuno potrebbe venir voglia di pisciare nel serbatoio della Panda.

Toh, si rivedono le lotte operaie. Perfino nella Milano che si vorrebbe restìa ad ascoltare le istanze dei lavoratori perchè gli operai sono talmente soddisfatti del governo di centropadania che di istanze non sembrerebbero averne più. Con un presidente operaio che ghe pensa tutto lu, oltretutto.
Le lotte operaie invece sono sempre più necessarie in tempi di crisi e, mi piace ricordarlo a chi è distratto dal pettinar bambole estivo e dai drammi della privacy violata dei miliardari, riguardano una questione di pura sopravvivenza per intere famiglie.

Essere legati ad un salario o stipendio (chiamiamolo come preferiamo), significa dover contare su una ricchezza, o semplice benessere, che ci cade goccia a goccia ogni mese e che basta solo a placare una sete momentanea, non certo per riempire una piscina.
Se la goccia viene a mancare perchè il rubinetto viene stretto, non si campa più. Possiamo avere qualcosa da parte ma senza lo stipendio, una volta esaurita la riserva, si muore. Con lo stipendio ci si paga l’affitto, ogni mese. Ogni mese arrivano bollette, rate di mutuo, scadenze varie da pagare e quelli mica dicono “Ok, va bene, me li darete quando potete”.

Per noi che viviamo di salario sono cose ovvie e per questo non ci meravigliamo che degli operai minacciati di perdita del lavoro senza garanzie per il futuro siano rimasti otto giorni sul carroponte per difendere la loro capacità di sopravvivenza. Perchè hai voglia di credere alle promesse di riassunzione. Io ci passai, anni fa. “Stai tranquilla, solo pochi mesi e poi ti riprendiamo”. Risultato: sei anni di disoccupazione.

Siamo felici come pasque che si sia giunti ad un accordo alla Insee, quando la dirigenza solo pochi giorni fa dava la colpa del fallimento dell’azienda agli operai. Siamo felici che lottare per i propri diritti sia ancora possibile e porti ad una scelta di giustizia. Auguri all’Insee ed alle persone che ci lavorano.

Piuttosto, qualcuno ha visto il presidente operaio aggirarsi sul carro ponte come promesso? No? Ah, sta a Villa Certosa con Fede? Me pareva.


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